Angelo Branduardi ha creato un genere personale rigenerando le tipiche atmosfere fiabesche ed epiche (medioevali, rinascimentali, celtiche…) grazie all’enfasi del cantato, agli arrangiamenti e alla scelta degli strumenti. Il tutto insieme ai riferimenti e alle costruzioni armoniche del passato. Quelle canzoni hanno però contenuti, una scrittura lirica e una metrica ben precise, spesso di forte impatto poetico.
Il mio intento è quello di far emergere questo aspetto affrancandole dalle personalità mia e di Branduardi e cercando nell’interpretazione pura (dove l’interprete è al servizio della canzone e non viceversa) proprio la poetica che sta nella scrittura, sia della musica che dei testi.
A ricantare Branduardi – e vale per quel pugno di grandi cantautori italiani di cui fa parte – si rischiano due cose: l’emulazione (non solo vocale) o la “coverizzazione”, ovvero quel processo attraverso il quale ci si autorizza a fare proprie delle canzoni personalizzandole a piacimento, offrendo versioni spesso modeste e inferiori alle originali. Questo non accade nella musica classica, dove il rigore esecutivo della scrittura è essenziale e quindi imprescindibile.
Il mio approccio vocale e quello pianistico di Alessandro Russo è proprio figlio di questo rigore.
Fabio Cinti
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